Museo di Arte Sacra |
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Il Museo d'Arte Sacra di Tavarnelle Val di Pesa è stato inaugurato nel 1989 al primo piano della canonica di San Pietro in Bossolo e raccoglie le testimonianze artistiche provenienti dall'antico piviere di San Pietro e da quello di San Donato in Poggio, con l'eccezione dell'importante nucleo di opere direttamente pertinenti alla chiesa parrocchiale di San Donato, che in parte sono ancora in sito e in parte nel Museo di Santo Stefano al Ponte a Firenze. La pieve di San Pietro in BossoloLa riedificazione della pieve di San Pietro in Bossolo in forme romaniche avvenne entro la metà dell'XI secolo, ma le numerose sovrapposizioni architettoniche stratificatesi con il passare dei secoli ne hanno alterato l'aspetto esterno, lasciando visibili solo in piccola parte le strutture originarie. L'interno, invece, è stato ricondotto al suo aspetto primitivo da restauri recenti, che hanno riportato alla luce il filaretto in pietra delle pareti e dei pilastri e hanno smantellato le numerose sovrastrutture che deturpavano le sobrie geometrie lineari. Le tre navate sono divise da cinque valichi di uguale ampiezza, sostenuti da semplici pilastri quadrangolari con bassi plinti a vista e una semplice cornice alla sommità in luogo del capitello; unico altro motivo ornamentale è una modanatura a risega che segue le archeggiature lungo tutto l'estradosso dell'arco. La Pieve di San Pietro in Bossolo Fondata forse dalla famiglia degli Alamanni, la pieve passò prima in proprietà ai vescovi fiorentini e poi al Capitolo della Cattedrale, che vi esercitò la propria autorità almeno fino al 1340. Nel corso del secolo XV il patronato passò alla nobile famiglia dei Buondelmonti, alla quale apparteneva il pievano e canonico Andrea, promotore di importanti lavori di restauro e di ampliamento. Nel 1508 questi finanziò la ricostruzione della canonica e dopo due anni ne predispose lo sviluppo sul lato sud orientale, facendo erigere nella stessa occasione il portico antistante la chiesa. Durante i due secoli successivi l'interno della pieve fu soggetto ad ulteriori modifiche, fino a perdere del tutto la sua fisionomia originaria, cui l'hanno restituita i radicali interventi di ripristino eseguiti nel 1946. Al secolo scorso risalgono invece la costruzione della torre campanaria e l'apertura della piccola Cappella del Battistero ad essa adiacente.
Museo di Arte Sacra di TavarnelleDal chiostro si accede alla canonica e da qui al Museo d'Arte Sacra, di cui Rosanna Caterina Proto Pisani ha redatto il catalogo e dove le opere sono state ragguppate per luogo di provenienza. La visita inizia dal salone centrale del primo piano che ospita i dipinti e gli arredi della chiesa e del piviere di San Pietro in Bossolo. Il patrimonio della chiesa matrice è rappresentato attualmente da pregevoli pezzi di oreficeria, fra i quali una croce astile databile al XIII secolo, qualche reliquiario di legno intagliato e alcuni esemplari di vesti liturgiche che facevano parte di antichi parati. Ma la pieve ospitava ormai da lungo tempo anche due dipinti molto conosciuti e di grande valore artistico: la Madonna delle Grazie eseguita nella prima metà del XV secolo da Rossello di Jacopo Franchi e la tavola duegentesca raffigurante la Madonna col Bambino attribuita a Meliore, che è diventata un po' il simbolo di questo museo, sia perchè la sopravvivenza di un'opera con una datazione così alta (1270-1280 ca.) rappresenta sempre un fatto di importanza eccezionale, sia perchè si tratta di una tavola famosa e molto studiata, variamente tolta e restituita al catalogo del pittore. Nella stessa sala è riunito un gruppo di tavole significativo nell'ambito della produzione pittorica minore nel Quattrocento e offre l'occasione di focalizzarne un aspetto importante, quello della bottega a conduzione familiare: si tratta di una Madonna col Bambino (molto lacunosa) attribuita a Lorenzo di Bicci e databile verso la fine del XIV secolo e una serie di sei dipinti eseguiti negli anni Settanta del XV secolo da Neri di Bicci, suo nipote, e raffiguranti: la Madonna in trono col Bambino fra San Nicola, l'Angelo Raffaele e Tobia, Sant'Antonio Abate, San Donnino e San Giuliano, il Compianto sul Cristo morto con i santi Luca, Margherita, Maria Maddalena e Giovanni Evangelista e alcuni frammenti che costituivano una pala d'altare nei quali figurano la Vergine e San Sebastiano, San Giovanni e San Rocco e i due ritratti di Fra Luca Lanfranchini da Mantova e Niccolò Sernigi, fondatori del convento di Santa Maria al Morrocco, da dove viene l'intero nucleo di opere.
La famiglia Di Bicci
Lorenzo di Bicci, esponente della corrente più tradizionalista della pittura fiorentina della fine del XIV
secolo, fu il capostipite di una delle più grandi e operose botteghe artistiche
cittadine, nella quale subentrarono nel corso del Quattrocento, prima il figlio
Bicci di Lorenzo (le cui opere si trovano numerose nelle chiese del
contado) e poi il figlio di questo Neri, ereditandone dopo un periodo di apprendistato sia la gestione che la
clientela. Le tavole eseguite da Neri per Santa Maria del Morrocco costituiscono un complesso unico e di grande
interesse, sia per la qualità esecutiva e l'ottimo stato di conservazione, sia per la certezza della
documentazione: i due dipinti con la Sacra Conversazione e il Compianto sono ricordati nelle memorie del pittore
stesso, dove si legge che furono allogate nel 1472 da Niccolò Sernigi, che oltre a queste nel 1475 commissionò anche la pala per l'altare
maggiore, successivamente smembrata e che, secondo quanto ipotizza la Proto
Pisani, doveva raffigurare al centro la Trinità con l'iconografia del Cristo
crocifisso, e attorno le immagini dei suddetti frammenti.
Al centro della sala, raggruppate per chiesa di origine, sono esposte le argenterie, fra le più antiche segnaliamo: due croci astili duegentesche, le cui incisioni ripropongono la consueta iconografia dei Dolenti ai lati del Cristo e dei quattro simboli degli evangelisti sul verso dei bracci, dai contorni lineari e ancora privi delle placchette terminali; un calice del XV secolo dall'alto piede mistilineo, che conserva ancora gli smalti sui raccordi del fusto; e due turiboli appartenenti allo stesso secolo, uno a tempietto e uno dalla forma vagamente piramidale, secondo un modello ancora trecentesco. Sono presenti anche un cospicuo numero di arredi sei e settecenteschi di manifattura fiorentina e toscana, un pregevole esempio dei quali è costituito da un calice di San Bartolomeo a Palazzuolo, e da un nucleo di argenterie napoletane tutte riferibili al XIX secolo, ad eccezione del bell'ostensorio eseguito da Nicola De Angelis nel 1706. Sempre alla chiesa di Cortine appartengono alcuni dipinti settecenteschi, di cui segnaliamo soltanto le due tele che fanno "pendant" e raffigurano San Giuseppe col Bambino Gesù, opera di un seguace del Sagrestani, e i Santi Pietro e Paolo di Francesco Conti. Completano l'allestimento della sala ancora un gruppo di argenterie dei secoli XVII e XVIII, di buona fattura ma di tipologia consueta, e un singolare armadio ottocentesco in legno dipinto e intarsiato, la cui parte inferiore era utilizzata come mensa d'altare, mentre la superiore, divisa in scomparti, era destinata alla custodia dei reliquiari.
La terza sala è dedicata alla devozione e ospita, oltre ad un nutrito gruppo di reliquiari in legno e argento (ad ostensorio, in forma di
edicola o ad urna), alcune tele che rappresentano immagini di culto: il settecentesco San Lorenzo proveniente da San Lorenzo a Cortine; e il San Pietro di Olena, opera del 1770 firmata da Stefano Amigoli, seguace di Francesco Conti e attivo a Firenze nella seconda metà del secolo XVIII. Le altre due piccole tavole presenti nella sala, raffiguranti San Luca (n. 15a) e San Marco (n. 15b), fanno parte di una serie seicentesca dei quattro evangelisti realizzata da un ignoto pittore di scuola toscana, nella quale ciascun santo è rappresenato seduto, con il libro aperto e con accanto il proprio simbolo iconografico. Museo di Cultura ContadinaMuseo E. Ferrari di Cultura ContadinaAll'interno del
castello di San Donato in Poggio, in via del Giglio ha sede il museo che raccoglie ed espone al pubblico la collezione privata messa a disposizione dall'ingegner Emilio Ferrari, a cui è intitolato il museo. Della raccolta fa parte una nutrita collezione di attrezzi, utensili e strumenti che documentano lo svolgimento delle attività produttive e il piccolo artigianato legato alle attività del mondo rurale chiantigiano; nonchè un cospicuo gruppo di utensili e contenitori in rame prevalentemente del XIX secolo, di varia provenienza. |
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